lunedì 15 novembre 2010

Beijing, ottobre 2010

Dopo 16 anni, rivedo la Cina.

Scesa dall’aereo 7 giorni fa, molte notti sogno ancora la Cina.

Ogni tanto a casa porto il giornale già letto, per avere una scorta di carta per vari usi, tra cui per esempio, alcuni fogli di giornale da appoggiare sul pavimento davanti ai fornelli per non sporcare il parquet con gli strizzi dell’olio da cucina. Oggi mi inchinavo per buttare via il giornale sporco, mi saltava all’occhio era il titolo di un articolo all’interno del giornale: «Ritorno in Cina», scritto da Angela Terzani Staude. Mi ha incuriosita il titolo ma soprattutto l’autrice, la Signora Terzani. Negli inizi degli anni ottanta, sono venuta via da Pechino un paio di anni dopo di lei e la sua famiglia, e se oggi lei parla di Pechino, l’articolo dove essere interessante, al meno dal punto di vista di qualcuno che Pechino lo conosceva come me.

Allora prendo spunto dal suo articolo per ricordare il mio recente viaggio.

Sono d’accordo con lei, anch’io ho fatto la stessa domanda: la immensa via Chang’an dov’è finita? La via Chang’an, la via della lunga pace che estendeva 10 li (circa 5 km) dall’est Dongdang all’ovest Xidang della città di Pechino, la via una volta considerata la più ampia e più lunga ma soprattutto la più importante della Cina, ai suoi lati sono riempiti di grattacieli di forme più bizzarre, di costruzioni recenti ricorrenti agli ultimi eventi mondiali come le Olimpiade del 2008, qualcosa è rimato, anche se soltanto esteriormente: la facciata del Beijing Hotel, l’entrata della Città Proibita, il Palazzo del Popolo, poi quasi più niente!



A differenza della Signora Staude che si trovava a Pechino nel mese di luglio, noi abbiamo avuto la fortuna di aver sempre il sole e il cielo azzurro, per essere fine ottobre, addirittura faceva caldo!

Questa volta non ho fatto visita alla Città Proibita. Mia figlia ricordava solamente dalle fotografie la facciata di essa, e ha voluto farne visita ben due volte in pochi giorni di permanenza Pechino. Le solite gite turistiche, dalla Grande Muraglia al Tempio del Cielo, dal Palazzo d’Estate al Tempio del Lama, Pechino ha investito sicuramente molto sul turismo mondiale, visto i punti d’attrazione come sono ben tenuti e mantenuti.

Non sono d’accordo invece sull’affermazione della Signora, l’autrice dell’articolo, che “Mi chiedo se senza Mao, con la sua rivoluzione permanente riuscì a togliere ai cinesi perfino il ricordo del loro atavico individualismo, il miracolo economico cinese si poteva fare”. Non vorrei fraintendere le parole dell’autrice, ma la parola ‘individualismo’ applicata al popolo cinese non rispecchia la tradizione o la filosofia millenaria cinese. Avrei usato in molti casi e in molte occasioni la parola ‘egoismo’ per riferire alle faccende cinesi, ma l’individualismo che dai cinesi è considerato un prodotto occidentale, forse è arrivato soltanto recentemente con la globalizzazione, se ci è arrivato.

L’articolo prosegue con queste parole: “I suoi successori non hanno dovuto far altro che prendere quelle masse, diventate umili e ubbidienti, e trasformarle in una forza lavoro che, sommata alla nuovo tecnologia, sta facendo della Cina una formidabile, forse imbattibile macchina di produzione”. Come nella frase precedente in cui la parola che non rispecchia la realtà è “individualismo”, qui la frase che non mi trovo d’accordo è “diventate umili e ubbidienti”. La cultura cinese da sempre, forse per merito o forse per colpa del Confucianesimo, ha solo prodotto un popolo ‘umile e ubbidiente’, naturalmente parlo in generale e in generico, le mosche bianche o gli avvenimenti epocali non fanno parte del mio discorso.

Oggi la Cina è affarista. I due mercati dei taroccati in centro della città di Pechino ne sono testimone. È diventato un divertimento, soprattutto per mia figlia, a contrattare i prezzi per comprare un oggetto che inizialmente il venditore chiede 1200 yuan e si finisce a pagarlo a 100. La famosissima via Wangfujing, sotto le vecchie insegne dei magazzini locali di una volta si espongono le insegne dei più famosi marchi del mondo, mi ha sorpresa. Ricordo ancora che dentro uno di quei magazzini pieno zeppo di persone curiose, tiravo fuori i 15 Renminbi e non i Foreign Exchange Certificate, per comprarmi un asciugamano che tuttora, dopo più di 20 anni, in uso a casa.

Pechino, quando sarà la prossima volta che ti vedrò? Spero non dopo altri 16 anni …